Dottoressa maiala fa pompino a paziente

   30/11/2007
  
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E’ dalla più tenera età che faccio nuoto e da 20 anni che lo pratico a livello agonistico.Nonostante abbia raggiunto ottimi livelli,ieri, per la prima volta, sono entrato in ospedale per sottopormi ad esami clinici a causa di un fastidio all’ adduttore destro.
Entrare in ospedale fa un certo effetto anche se si è consci del fatto che non rischi nessuna notizia che possa compromettere la tua vita. Il reparto di radiologia metteva ansia solo a guardarlo. Attorno a me c’erano persone di tutte le età e sui loro volti erano stampate l’apprensione , in alcuni persino l’angoscia di ricevere risposte certe ai preoccupanti interrogativi che li avevano condotti fin lì. Il medico della mia società, un panciuto omone che aveva già da tempo superato i 50, mi aspettava in sala d’attesa.Appena mi vide, scomparve dietro una porta che intuii potesse essere una sorta di ambulatorio e dopo non molto mi fece cenno di raggiungerlo. Entrai timidamente. La stanza era di un bianco accecante. Dietro ad una scrivania, posta alla destra della porta d’ingresso, era seduto un uomo canuto in camice bianco impegnato a scrivere su di un grosso registro. Senza degnarmi di uno sguardo mi fece segno di togliere  la tuta e di sdraiarmi su di un lettino, anch’esso bianco, nascosto da un divisorio che gli stava alle spalle. Dopo qualche minuto mi raggiunse, seguito dal medico sociale e cominciò a visitarmi.
“..ha dolore qui? E qui? Provi a sollevare la gamba. Divarichi la gamba non sollevandola dal lettino. Le fa male se tiro la gamba verso di me?”, l’uomo canuto mi bombardò di un’infinità di domande mentre tirava, allungava, torceva la coscia malandata da tutte le parti. Il dolore, che prima era come sopito, era tornato forte ed intenso tanto che riuscivo a stento a trattenere le lacrime. “Meglio fare un’ecografia, ma non dovrebbe essere niente di grave”, concluse. Scarabocchiò un foglio di carta e mi spedì frettolosamente nella sezione ecografica. Il dolore era fortissimo e con non poche difficoltà riuscii a trascinarmi fino ad una carrozzella, poi, finalmente, giunsi nella sala d’attesa che mi aveva indicato.
Una giovane donna incinta era seduta accanto all’unica porta della sala. L’avevo di fronte a me. Indossava un vestitino corto e leggero e, forse perchè in ansia per l’esame che l’attendeva, schiudeva le gambe lasciando intravedere le mutandine rosa. Era molto carina, lineamenti dolci e delicati, ma quella visione che in altri momenti mi avrebbe mandato in estasi non sortì alcun effetto. Avevo troppo male alla coscia per poter pensare ad altro. Dopo circa tre interminabili quarti d’ora, con il dolore finalmente sopito, giunse il mio turno. La sala ecografica era meno asettica dell’ambulatorio in cui ero stato visitato prima, ma non per questo meno inquietante. A sinistra della porta vi era anche qui un lettino e accanto un monitor enorme con sotto una tastiera alla cui destra campeggiava l’ecografo. Di personale medico neppure l’ombra. Il panciuto medico sociale era, fortunatamente, restato ad attendermi fuori. Averlo tra i piedi continuamente cominciava a mettermi in un certo imbarazzo. “Posso?” chiesi alla stanza vuota. Una voce femminile mi rispose, seccata, di attendere. Dopo qualche istante si parò dinnanzi a me una splendida donna non più giovanissima, ma molto avvenente. Indossava il camice bianco aperto sul davanti evidenziando due grossi seni che schizzavano letteralmente fuori dalla scollatissima maglietta. Una minigonna appena sopra il ginocchio e un viso da porcona facevano il resto. “Lei è il signor….” mi chiese repentinamente. “Roberto Conforti” risposi quasi balbettando. “Cosa è successo?” mi chiese  maternamente. “Non so esattamente ma da due giorni accuso un forte dolore all’adduttore destro. Non sono riuscito a nuotare neanche mezz’ora da quando ho questo dolore”. “Va bene. Si tolga la tuta e si sdrai sul lettino. Dovrà pazientare, ma l’assistente è in ferie e ci impiegheremo un po’ più del previsto per fare l’esame”. Tolsi la tuta, così come mi aveva detto quel fenomeno di dottoressa e mi sdraiai sul lettino. Ero in mutande, con una coscia fuori uso, ma solo con una donna che sprizzava sesso da ogni poro. Dovevo controllarmi perchè quella era una dottoressa e non una donna qualunque.
Dopo non molto mi raggiunse al lettino, impugnò il barattolo di gel che era sul tavolo e cominciò a spremerlo sull’interno della coscia dolorante. “Ti dispiace spostare lo slip più a sinistra?”. Intanto mi aveva afferrato lo slip e l’aveva scostato verso sinistra scoprendo una parte dei folti peli pubici. “Ecco va bene così”, rassicurò. Afferrò poi l’ecografo e cominciò a premerlo lungo il mio inguine destro. Per farlo con la mano sinistra doveva venire a contatto in qualche modo con i miei genitali, ma la cosa sembrava non infastidirla. Anzi ad un certo punto pensai che quasi lo facesse di proposito ad indugiare col gomito sinistro proprio sulle palle. Mi constrinsi a non vederci nulla di malizioso, ma ciò che ordina il cervello difficilmente trova riscontro nelle reazioni istintive e fisiche. Quel continuo strusciarsi, la vista di quelle grosse tettone, il profumo intenso di quella donna straordinaria, stavano cominciando a produrre i loro effetti e il mio cazzo, fino a quel momento disinteressato e scarsamente presente, stava rispondendo agli stimoli. La dottoressa non accennava a smettere di premere sull’ecografo e, per comparare il lato sinistro al destro, a strofinare il suo braccio in entrambe le direzioni. Imbarazzatissimo mi accorsi che avevo lo slip completamente riempito da una esagerata erezione. Tutti i miei tentativi di evitare una figuraccia stavano andando in fumo. La dottoressa, ad un tratto, forse constatando la diversa consistenza di ciò che già da dieci minuti strusciava, fissò lo slip ormai rigonfio e poi mi guardò fisso negli occhi. Volevo scomparire. A quel punto successe ciò che non mi sarei mai aspettato. Improvvisamente infilò le dita nello slip e cominciò a menarmi il cazzo. Intanto, smessi gli occhiali, aveva voluttuosamente cominciato a leccare e a mordicchiarmi l’orecchio. Di tanto in tanto fermava la mano alla base del cazzo lasciando dura e lucida di fronte a sè la cappella come adorante di fronte ad un simulacro. Poi chinò il capo e cominciò a muovere la lingua su e giù per tutta la lunghezza dell’asta. Alla fine si decise ad accoglierla tra le sue labbra. Gli occhi della dottoressa non smettevano, neanche per un istante, di fissarmi alla ricerca di smorfie di piacere che confermassero la sua abilità. La lingua, instancabile, guizzava sulle palle per poi ritornare su ripercorrendo l’asta fino alla cappella per poi ingoiarla nuovamente fino alle palle stesse. Quando capì che ero sul punto di venire, accelerò il movimento del capo senza accennare a volersi staccare dal mio cazzo ormai ansioso di esplodere. Venni mentre lei continuava a muovere la testa. La sentivo ingoiare a più riprese la mia sborra fino a quasi soffocarla, ma questo non le impedì di continuare a succhiare e a trattenermi tra le sue labbra. Infine, passandosi la mano sulla bocca come avevo visto fare nei film hard, disse, con ancora parte del mio seme ad imbiancarle la lingua, che non era niente di grave e che l’affaticamento sarebbe passato nel giro di due settimane se mi fossi tenuto a riposo e avessi preso dei comunissimi antiinfiammatori. “Spero sia stato un piacere anche per te, mio splendido pisellone” mi disse congedandomi. Ci vediamo tra tre settimane per un controllo.
Infilai mezzo tramortito la tuta e uscii senza riuscire a spiccicare neppura una sola parola.

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